Nel cuore della campagna veneta, a Trino, antico borgo sorto lungo la strada costruita dai soldati del console Aulo Postumio, il giovane Settimo, creatura invalida al cento per cento, in qualche momento di lucidità cerca di svelare l’origine della propria malattia mentale, raccogliendo le parole dei vecchi, ultimi custodi di storie dimenticate. Attraverso un intreccio di testimonianze scritte e orali, il romanzo dipinge un affresco storico che si snoda dalla fine dell’Ottocento agli ultimi anni del Novecento. A mano a mano che la narrazione avanza, la sofferenza di Settimo si fa più intensa: la sua famiglia piccolo-borghese, sedotta dalla retorica del fascismo e travolta dalle paure della guerra, diventa il riflesso di illusioni e traumi. Un racconto quasi favolistico, dove momenti di sollievo si alternano a episodi drammatici. Gli “intermezzi”, visioni oniriche e frammenti di autoanalisi, danno voce agli incubi e alle angosce della malattia, trasformando la ricerca di Settimo in un viaggio tra storia, memoria e follia.
Ho scoperto uno scrittore. Franco Zizola, pur appartenendo all'area veneta, riesce a superare la dimensione provinciale e regionale, narrando in questo libro la storia di una famiglia, dalla fine dell'Ottocento agli anni Ottanta di questo secolo e accompagnando i personaggi dalla nascita alla morte. Non solo il mondo veneto possiede le chiavi di lettura di questa storia, perché essa ha respiro universale: è l'eterna vicenda umana nelle sue lacerazioni e nelle sue sofferenze. Egli si addentra nei terribili meandri di una creatura malata, l'Io narrante, Settimo, che tenta di spiegare a se stesso e di decifrare, a poco a poco, le oscure leggi della vita, gli incomprensibili disegni della Divinità, signora della storia, senza mai scadere nel patetico, nel sentimentale, ma sempre lucidamente controllando la forma, spesso scabra, asciutta, a volte violentemente espressiva. Talvolta le parole scarne e spesso private dell'articolo e dell'aggettivo, nascendo dal libero fluire della coscienza, aboliscono i freni della punteggiatura e forzano la sintassi. Vi ho trovato pagine di alta letteratura: la parola riassume, spesso genialmente condensata, le lunghe questioni che toccano la morale cattolica e la storia… Come quell'undici febbraio 1929, quando nacque Stachi, il bambino simbolo della fusione concordataria di Stato e Chiesa, nella quale il protagonista Settimo trova l'origine di molti suoi mali, il conflitto non risolto tra corpo e spirito. Tuttavia l'Autore non scende mai a un anticlericalismo di stampo ottocentesco, al contrario osserva con simpatia e con grande umanità le varie figure dei sacerdoti che si sono avvicendati alla guida delle anime della parrocchia di Trino, immaginario reale paese, da don Aldo Zuccapelata a don Luigi Indifferentismo, che si affannava, nel 1907, a tradurre il linguaggio della Pascendi Domini Gregis del venetissimo papa Pio X alla gente affamata e analfabeta del paese della pellagra; la loro presenza contribuisce a rendere sacri i più semplici gesti quotidiani. Anche la fame e la miseria si fanno racconto, quasi controcanto, e servono a illuminare dall'interno la storia che Settimo va dipanando, che è storia non solo di paese, ma della nazione tutta. Si veda la vicenda della pellagrosa Maria suicida, o di Bicio affamato che uccide a colpi di scure la contessa avara, o di Gilda levatrice e maga, che verrà straziata dai fascisti che ha fatto nascere, o di Marianna Kinkerna ostessa, che non si arrende alla peronospera…, pagine di alto tono narrativo, quasi novelle, come è proprio, del resto, della migliore tradizione letteraria italiana. È costante l'attenzione alla sofferenza umana: lo scrittore sembra essere convinto che a niente altro servano cultura e scrittura se non a comprendere più a fondo la vita. Echi di molte letture si possono rintracciare, profondamente assimilate… Non vi è esibizione, gratuito sfoggio di citazioni, perché la vita di Settimo percorre la letteratura di questo secolo. Un libro intenso, che avvince dalla prima all'ultima pagina, dal passato ormai mitico a quello delle stragi e delle guerre subite dai padri, fino all'esplosione delle contraddizioni e della malattia nell'età della ricostruzione, del miracolo economico e delle speranze frustrate. La Chiave nel pozzo è un romanzo originale, stilisticamente nuovo, mai monotono, che riesce a catturare il lettore e a commuoverlo, come solo gli scrittori autentici sanno fare, e Franco Zizola è uno di loro.
(Antonia Arslan, presentazione del libro, 16/01/1998)